CAPITOLO 1

STORIA DEL TESSILE-ABBIGLIAMENTO NELL'ALTO VICENTINO

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1.1 LE ORIGINI

I primi fattori di localizzazione che danno il via, nel 1700, alla protoindustrializzazione della zona sono quelli relativi alla dotazione di risorse. La disponibilità infatti di materie prime, in particolare di quelle derivanti dal fiorente allevamento ovino nei pascoli di Asiago e del monte Novegno (immediatamente a Nord-Ovest di Schio) forniscono l'input a quella che sarà per due secoli l'industria trainante della zona.
E' inoltre presente l'allevamento del baco da seta per l'industria serica e, soprattutto, c'è l'acqua, abbondante e sfruttabile per l'energia, grazie al suo ripido corso.
Lungo il percorso dei torrenti Astico e Leogra (e lungo le loro diramazioni) si possono osservare a tutt'oggi i primi opifici, esempi di archeologia industriale che si sono mantenuti (più o meno bene) fino ai giorni nostri: da Schio gli stabilimenti si inoltrarono in Val Leogra, salirono verso il monte Novegno, si estesero nella Val d'Astico da Piovene a Chiuppano; da Thiene (città commerciale per eccellenza fino ai giorni nostri, vede la nascita del primo artigianato laniero nel 1200) fabbriche, laboratori e botteghe si decentrarono con nuovi insediamenti a Breganze, Sarcedo e Lugo di Vicenza, in uno dei maggiori bacini industriali italiani.
Ma l'acqua non è stata solo fonte di energia: infatti lungo la Roggia , un canale costruito a Schio nel XVI secolo per l'irrigazione dei campi, sorgono in seguito i folli per la lavorazione della lana, che utilizzano l'acqua per il lavaggio, fase fondamentale del processo produttivo.
Ma forse il fattore localizzativo più importante e peculiare è la risorsa umana, la manodopera numerosa, scarsamente impiegata in un'agricoltura dalle magre risorse, aleatoria e distante dalle zone economicamente più attive negli scambi commerciali.
Gli abitanti delle montagne scendono a valle provocando un frazionamento della proprietà terriera in pianura che, con la poca adattabilità all'attività agricola e la scarsa fertilità, causa un abbassamento nel tenore di vita e la necessità di ricorrere ad entrate extra-agricole; è l'inizio dell'attività del contadino operaio, dapprima artigianale poi industriale, che lavora nei campi nei giorni di semina e raccolto e arrotonda a domicilio alla sera o nei momenti di pausa colturale.
Il risultato di questa copiosa offerta è naturalmente il basso costo di impiego, fattore non trascurabile in una manifattura, quella tessile, in cui il costo della manodopera rappresenta una percentuale importante dei valore aggiunto, anche nella attuale situazione di alta tecnologia (oggi è circa il 30%).
Altri fattori sono il già citato clima umido, in un'epoca in cui non è possibile crearlo artificialmente come succede oggi con i condizionatori d'aria, la vicinanza al mercato di consumo, all'inizio rappresentato dal solo Veneto, il capitale investito di origine veneziana che, soprattutto in seguito alla perdita di Creta nel 1669, si riversa in quest'area promettente dal punto di vista reddituale, e per ultimo la mancanza di un'organizzazione corporativa, che permette un libero e concorrenziale sfogo alle arti e al mercato.

1.2 IL XVIII SECOLO

La lavorazione domiciliare organizzata della lana comincia nel XVII secolo: la materia prima, un telaio ed il tempo lasciato libero dai campi viene assorbito dalla produzione, ai fini di un reddito che è ancora solo integrativo; uomini, soprattutto donne ed anche bambini collaborano alla lavorazione e viene così a fondarsi quella tradizione che tanto importante sarà per l'intera zona.
Ma già nel XVIII secolo inizia il lento passaggio dal lavoro agricolo e artigianale-domestico al lavoro nelle botteghe e nelle prime fabbriche: l'ennesima richiesta degli scledensi alla Serenissima per ottenere il privilegio della produzione di panni alti (ossia tessuti di pregio) viene accolta nel 1701, dando a Schio l'occasione di una svolta nell'offerta del prodotto.
Alla fine del 1700 l'area pedemontana (compresi Valdagno, Arzignano e Marostica) ospita il 50% delle industrie laniere venete con 6000 operai a tempo pieno e 6000 in alternanza con i campi (le prime soprattutto donne, i secondi in gran parte uomini). Nel 1789 ben il 75% dei capi-famiglia di Schio è impiegato nell'industria laniera, mentre il totale delle persone che traggono almeno in parte il proprio sostentamento dal lanificio ascende al 71,66% a Schio e al 43,16 a Valdagno.
Le prime fabbriche formano un tutt'uno con le abitazioni dei proprietari, con i telai nei saloni d'ingresso e il deposito in un angolo: è una localizzazione semplice e immediata, realizzata dall'imprenditore che ha spesso un passato nell'attività agricola e sfrutta così gli spazi offerti dalle case coloniche (così p.e. è il primo stabilimento di Antonio Scalcerle a Thiene nel 1778).
Propriamente di protoindustria si potrebbe qui parlare fino al 1718, data in cui sorge l'azienda tessile di Nicolò Tron a Schio che produce panni alti ed è considerata la prima fabbrica dell'industria veneta moderna (Bertoli-Ghiotto, 1985). E' l'anno in cui Tron torna dalla Gran Bretagna con i piani di un nuovo processo produttivo per i panni alti, processo di cui altre nuove fabbriche a Schio, a Thiene e a Valdagno ottengono la licenza.
E' la fabbrica Tron ad innestare la svolta nel settore laniero scledense ed in parte thienese e valdagnese: non più solo tradizioni e cultura locale ma ampio respiro e mentalità internazionali se si vuole emergere dal ristretto ambito regionale.
La ditta Bologna di Schio è tra le prime a raccoglie il testimone, guadagnandosi il titolo di "fabbrica privilegiata" per i panni ad uso estero (1755).
E' così che ai fattori di localizzazione meramente materiali prima citati se ne affianca uno immateriale non meno importante: la mentalità e la cultura sia imprenditoriale che operaia, insieme ad attitudini ed abilità tecniche, fanno di questa zona un'area privilegiata per la nascita e la trasmissione di idee.
Non è da trascurare, in quanto legato al discorso di cui sopra, anche il potere che si è in grado di conquistare ed amministrare: in un secolo in cui l'area è dominata da Venezia prima e da Napoleone poi, scledensi e thienesi tempestano il governo di richieste di privilegi e status sociale e sanno opporsi anche se con qualche difficoltà all'invasione commerciale francese, per difendere una produzione che diventa sempre più imponente.
E' la localizzazione del già citato stabilimento Bologna che segna il passaggio verso una nuova dimensione produttiva: i 18 tessitori nella bottega di Schio rappresentano il maggior nucleo di lavoranti della metà del 1700, poi a Breganze (e Sandrigo) vengono accentrate filatrici prima sparse; la fabbrica, intesa come luogo di produzione, è vista come la scelta della giusta combinazione tra la limitazione del costo del lavoro (la vicinanza a nuclei abitativi così da sfruttare una maggior offerta), la minimizzazione del costo relativo al processo produttivo (le economie di scala realizzabili in un unico luogo di produzione) e l'attenzione ai mercati (vie d'accesso e direttrici di scambio).
Già nel 1766 la ditta Bologna vanta 17 telai ed impiega 340 persone con una produzione annuale di 530 pezze di panno (Fontana, 1991); sono numeri importanti in un momento in cui nel resto d'Italia si parla ancora di protoindustrializzazione.
Ma non di sola lana si vive a Schio, Thiene e dintorni: c'è la gelsicoltura e l'industria della seta che arriva ad assumere una notevole importanza, subendo intorno al 1700 una prima battuta d'arresto che causa un'emigrazione degli addetti ai lavori soprattutto verso il Trentino.
Ormai alle soglie del 1800 il panorama industriale si presenta con una connotazione in generale manifatturiera ed in particolare tessile; il contadino-operaio tende a sparire non potendo più sostenere il doppio ruolo: la fabbrica assorbe l'intera giornata (e nottata: in alcuni stabilimenti si fanno già i turni al lume delle lampade a petrolio) così da implicare il fenomeno della manovalanza femminile.
Lasciati gli uomini nei campi è la donna che si reca nelle fabbriche e dà il via ad una tradizione ancora attuale: la manodopera maschile è presente in misura assolutamente minoritaria, spesso a livelli solo di quadri o esclusivamente nei mesi invernali.
L'impiego femminile crea, con l'aumento dell'industria, tutta una serie di problemi che vanno risolti per non perdere il vantaggio acquisito: la creazione di nidi, case e scuole è una sfida che, assieme a quella relativa all'ammodemamento delle macchine e delle reti viarie, verrà raccolta da Alessandro Rossi e, in seguito, dalla famiglia Marzotto.

1.3 IL XIX SECOLO

1.3.1 Alessandro Rossi e Schio

La fabbrica di Alessandro Rossi (1819-1898) nasce con radici storiche ben precise e si localizza nell'area di Schio non solo grazie alla presenza dei già citati fattori (manodopera, materie prime...ma anche perché lì Rossi trova le sue origini culturali e imprenditoriali: era infatti figlio di Francesco Rossi, a cui il sopracitato Sebastiano Bologna cede ogni attività (in virtù del matrimonio con una sua nipote nel 1807), concorrendo anche alla sua formazione con idee, insegnamenti tecnici, mezzi ed esperienza.
Fin da subito il rinnovamento tecnologico e produttivo segna il distacco dalla protoindustria e la nascita del sistema fabbrica nel Veneto. La precoce meccanizzazione, che continuerà ancora più forte sotto la guida del figlio Alessandro, "tira" le piccole imprese artigianali che sfruttano la conoscenza importata e creata dai Rossi.

Litografia del 1864 raffigurante il cortile interno della "Fabbrica alta" (Fontana)


Non si deve infatti pensare che il laníficio Rossi, il lanificio Marzotto a Valdagno, la fabbrica di Arturo Ferrarin a Thiene (1830), gli opifici
Ranzolin, Zironda e Scalcerte lungo la valle dell'Astico e tutte le grandi aziende del luogo siano sorte improvvisamente in una zona prima dedita esclusivamente ad attività primarie: piccole e medie imprese, laniere e non, esistono già in precedenza; esse si rafforzano e si moltiplicano poi, sfruttando la meccanizzazione, la forza lavoro, i tecnici specializzati e i processi produttivi che solo la grande impresa è in grado di sviluppare ed ottenere.

Litografia del 1864 raffigurante una veduta panoramica della "Fabbrica alta" (Fontana)


E' dunque vero che, se i fattori localizzativi primari sono applicati da quelle imprese che prime tra tutte si affermano, la presenza stessa di tali imprese diventa un fattore localizzativo per l'indotto, per il fenomeno della complementarità oppure della gemmazione, cioè la nascita di imprese ad opera di chi si stacca da una precedente esperienza di lavoro dipendente per iniziare la stessa attività in proprio e trova convenienza nell'utilizzare i legami già noti e comunque nel restare in prossimità del luogo della sua origine lavorativa. E' importante allora capire non solo perché il lanificio Rossi sorge a Schio, ma soprattutto perché si afferma e quali cambiamenti apporta nel tessuto sociale ed economico.
Rilevata l'azienda paterna nel 1839, Alessandro Rossi ne fa una impresa moderna e competitiva introducendo la filatrice Mulè-Jenny nel 1848 e la macchina a vapore e i telai meccanici nel 1849, chiamando dal Belgio maestri montatori di stoffe e costruendo nuovi stabilimenti. Nella seconda metà dell'800 conta già 1000 occupati, una cifra sbalorditiva a quel tempo, che diventeranno 4000 prima della fine del secolo, ed erano 17 nel 1817 (Morpurgo, 1882). Utilizza ancora dei telai casalinghi (sono 150 nel 1865), scelta obbligata per la produzione di panni fini e finissimi.
In quel periodo gli opifici di Rossi occupano già 30000 mq. con 9500 fusi, che diventeranno in pochi anni 12000 (Fontana, 1986). Sono numeri solo indicativi, ma che danno l'idea del fenomeno che pur tuttavia non soffoca ma, come detto, traina le altre aziende.

Litografia del 1864 raffigurante un reparto di filatura della "Fabbrica alta" (Fontana)

La struttura dei fabbricati si evolve secondo una logica precisa: nel 1862 viene costruita la "Fabbrica alta" a Schio (che al 1 censimento del 1871 conterà 10901 abitanti), un capolavoro dell'architettura industriale europea anche per la movimentazione della merce su tre piani; nel 1869 sorge a Piovene Rocchette (1887 residenti nel 1871) una fabbrica sulle rive dell'Astico per la filatura e la tintura di lana pettinata, localizzazione derivata dalla grande necessità di acqua in questa fase della lavorazione; nel 1871, nella medesima località, sorge un secondo stabilimento per la tessitura pattinata, mentre a Pievebelvicino (frazione di Torrebelvicino che nello stesso anno conta 2528 abitanti) ne è costruito uno per i panni pesanti, sfruttando i locali di un'antica cartiera. A Torrebelvicino nel 1873 è eretto un nuovo stabilimento per la lavorazione dei panni, a Piovene Rocchette è costruita la terza fabbrica (per la tessitura pettinata): la località Rocchette sorgerà proprio in seguito ai quartieri operai.
Fino al 1896 la ditta Rossi è la più grande azienda del paese, sia per manodopera che per capitale (dopo la morte di Rossi continuerà l'espansione in altri comuni della provincia di Vicenza).
E' un decentramento basato sulla specializzazione e la complementarità: è il prodotto che si sposta da uno stabilimento all'altro fino al completamento del ciclo produttivo. Sembra una logica che porta al sostenimento di costi evitabili ma tale scelta localizzativa ha la sua origine in un particolare obbiettivo dell'imprenditore o meglio della sua ideologia: i guasti dell'industrializzazione che egli ha potuto vedere in Inghilterra vanno assolutamente evitati; Rossi considera come piaghe il socialismo, gli scioperi e la rivoluzione e ne individua le cause nelle condizioni di addensamento e di miseria della classe operaia.
La soluzione di tutto ciò è appunto il decentramento, che permette di mantenere i rapporti sociali nelle condizioni originarie: si costruisce non solo dove c'è acqua, vecchi stabilimenti e terreni disponibili, ma soprattutto dove c'è manodopera, curando di sradicarla il meno possibile dalla sua struttura sociale e soprattutto impedendo la formazione di un proletariato urbano privo di radici storiche in cui riconoscersi. Inoltre, quando sarà sentita la necessità di nuovi insediamenti residenziali, essi sorgeranno, per opera dello stesso Alessandro Rossi, adiacenti a preesistenti nuclei abitati.
Questo forte fattore organizzativo di origine ideologica non è però l'unica causa del decentramento: nella ditta Rossi resiste la figura del contadino-operaio ed il lavoro a domicilio (la già ricordata produzione di panni fini e finissimi), e per ridurre al minimo il costo del lavoro, che lieviterebbe per eventuali spostamenti, non resta che portare la fabbrica in campagna.
A metà dell'800 l'agricoltura non e più il reddito primario da arrotondare: è essa stessa diventata fonte di reddito complementare, ma ancora difficilmente viene abbandonata.
Il decentramento porta con sè anche dei problemi di infrastrutturazione che vengono risolti da parte dell'imprenditore con una serie di opere, futuri fattori localizzativi. Nel 1876 viene aperta la linea ferroviaria tra Vicenza e Schio che permette l'inserimento in un asse importante come quello Milano-Venezia; altri tratti ferroviari si aggiungono tra il 1869 e il 1886: la Schio-Torrebelvicino e la Schio -Piovene Rocchette-Arsiero, così da collegare gli stabilimenti ivi stanziati; l'ultimo tratto di strada ferrata è del 1910, la Piovene Rocchette-Asiago. Unico tratto a resistere fino ad oggi è il primo, gli altri man mano vengono dismessi e sostituiti dal trasporto su gomma.
Altre opere importanti sono quelle per l'utilizzo dell'acqua dell'Astico e del Leogra, sia direttamente per la lavorazione, sia come fonte d'energia: dighe, condotte idrauliche e ponti; quindi, più tardi, l'elettrificazione della zona in sostituzione all'energia idraulica e a vapore. Nel 1873 viene impiantata una linea telefonica tra la cartiera Rossi di Arsiero e Schio, la prima in Italia di tale importanza (20 Km.).
Infine, per quanto riguarda i servizi finanziari, una filiale della Cassa di Risparmio di Milano viene aperta nel 1870 e la locale Banca Mutua Popolare è inaugurata nel 1877.
Alessandro Rossi è inoltre il primo che tenta di legare la manodopera alla fabbrica: non solo la produzione richiede nuovi fabbricati e servizi, ma anche le maestranze necessitano, causa la continua espansione, di alloggi. La costruzione avviene, come detto sopra, in prossimità dei centri urbani dove si trovano gli stabilimenti, dunque adiacenti alle stesse fabbriche.
Il "Nuovo quartiere A. Rossi" viene iniziato nel 1868 a Schio e più volte ingrandito; a Piovene Rocchette si comincia a costruire nel 1875, a Torrebelvicino e a Pievebelvicino nel 1878: alla fine saranno 450 le nuove abitazioni che ospiteranno migliaia di operai.
Ma l'opera edilizia non si ferma al settore residenziale: in particolare nel nuovo quartiere di Schio, che alla fine ospiterà più di 1000 persone, ma anche in tutti gli altri nuovi complessi abitativi, vengono realizzate le infrastrutture per la vita sociale: l'asilo nido (a Schio nel 1871), l'asilo e le elementari comunali (1877), le scuole tecniche, ma anche chiese, mense, ricoveri per anziani, bagni pubblici, il tutto costruito direttamente o indirettamente (con l'appoggio del comune) da Rossi.
Un appunto particolare per la scuola: è realizzata a Vicenza la scuola industriale tessile, destinata alla formazione dei futuri quadri e dirigenti; dapprima è a numero chiuso, per poche decine d'allievi, poi si allarga istituzionalizzando la tradizione tessile altovicentina: ciò che prima si imparava solo con l'esperienza e la gavetta ora è insegnato da tecnici specializzati ad allievi di derivazione prettamente borghese.
Si costituisce dunque un polo di attrazione intorno agli stabilimenti di Rossi (Società Anonima Lanificio Rossi nel 1873), ai quartieri operai, alle istituzioni sociali.

1.3.2 La famiglia Marzotto

Quello che ha portato la Marzotto ad essere il più importante gruppo tessile europeo è il risultato ultimo di un lungo processo storico, iniziato nel 1836 da Luigi Marzotto (1773-1859), Uomo di molte e diverse attività (albergatore, appaltatore di strade, produttore di gesso) si avviò verso la produzione laniera in una fase di acuta crisi del settore, tra le alterne vicende del Veneto napoleonico e poi austriaco. Gli Asburgo, infatti, non appoggiavano certamente lo svilupparsi delle produzioni laniere nelle loro lontane province a discapito di quelle interne, per cui in questo contesto, l'avere investito nella manifattura tessile, significò davvero volere andare contro corrente.
L'attività avviata da Luigi venne proseguita e sviluppata dal figlio Gaetano (1820-1910). Dopo circa un ventennio di gestione difficile, durante il quale l'azienda laniera venne sostenuta con i proventi di altra origine (soprattutto il "molino da gesso"), Gaetano Marzotto iniziò una serie di investimenti in nuovi impianti e mezzi di lavoro che portarono la fabbrica verso dimensioni più consistenti (dai 12 operai del 1836 ai 300 del 1876).

Il Lanificio di Valdagno nel 1890 (Bairati P., 1986)

Un riconoscimento importante gli venne da Alessandro Rossi, suo punto di riferimento, che scrisse: "Valdagno ha nel bravo Marzotto un industre e intelligente fabbricante, che aumentò di quasi il doppio in fabbricato e macchine il suo stabilimento, più ammirabile perché solo". Dove quel "solo" sta a significare il senso di orgoglio e di autonomia che caratterizzò la gestione di Gaetano Marzotto e dei suoi dipendenti.
Nella sua numerosa prole si segnalò Vittorio Emanuele Marzotto (1858-1922), creatore della Filatura del Maglio, imprenditore estroso, forte di una esperienza internazionale. Tra una generazione e l'altra, per la forte differenza di temperamenti e di culture, non mancò una certa contrapposizione, e anche il lievito di qualche dissenso. Il risultato fu comunque un primo passo verso il ciclo completo della produzione laniera, l'avvio della produzione di filato pettinato e l'inizio dell'attività di esportazione, oltre ad un corrispondente incremento delle dimensioni aziendali (gli addetti furono 600 nel 1889, 1200 nel 1895, 2000 nel 1910).

1.3.3 Gli altri imprenditori dell'800

Se Alessandro Rossi e i Marzotto lasciano un'impronta indelebile nel paesaggio altovicentino e non solo, non sono però gli unici pionieri dello sviluppo industriale nel XIX secolo. Nel 1830 Angelo e Giuseppe Ferrarin creano a Thiene l'omonimo lanificio, spostando i propri interessi dall'agricoltura al settore tessile: lo sviluppo è inizialmente lento, anche a causa dei diversificati interessi della famiglia; quarant'anni dopo la sua fondazione nell'opificio non lavorano che 12 operai (Fontana, 1988), ma alla fine del secolo sono già 81 ad avvicendarsi nei turni anche notturni, grazie all'illuminazione a petrolio, poi gli stabilimenti diventano due, grazie all'acquisto del lanificio Scalcerle a Sarcedo.
Un altro lanificio, il Cazzola di Schio, è fondato nel 1860 da Pietro Cazzola che, dopo aver lavorato presso il lanificio Rossi, si mette in proprio iniziando con 6 operai e pochi telai, per poi passare a 48 telai, 1200 fusi e 98 operai nel 1890 (Fontana, 1987). E' indicativo che Cazzola lavori dapprima come dipendente e metta a frutto poi l'esperienza acquisita: è un iter che si ripeterà più e più volte fino ai giorni nostri, in special modo nei settori tessile e meccanico.
Anche il lanificio Conte, fondato nel 1757, seppure più in sordina, ha fatto parte di questo gruppo di pionieri dell'industria tessile, insieme con le ditte Ziche, Scalcerle, Zironda. Ma una certa diversificazione, anche se non molto accentuata, esiste comunque, contemporaneamente ai lanifici sopracitati.
Più tardi, per esempio, anche i setifici perderanno l'aspetto artigianale, malgrado la malattia del baco del 1854 (Pebrina) e la caduta della domanda, ne frenino lo sviluppo.

Tab.1.1 Le principali imprese laniere dell'Alto Vicentino (fine '800)

Lanifici
Località
Fusi
Fusi
Telai
Telai
Addetti
Addetti
1870
1890/91
1870
1890/91
1870
1890/91
               
Rossi
Rossi
Rossi
Rossi
Garbin
Conte
Pizzolato
Cazzola
Dal Brun
Brunello
Marzotto
Ranzolin
Ferrarin
Scalcerle
Schio
Pieve
Torre
Piovene
Schio
Schio
Schio
Schio
Schio
Schio
Valdagno
Thiene
Thiene
Thiene
12.045
-
-
10.000
4.600
1.200
1.944
-
-
-
2.560
-
-
300
23.360
6.930
3.088
21.888
2.000
1.260
-
1.200
1.150
150
11.200
1.200
500
240
426
-
-
-
120
35
80
-
-
-
80
-
-
-
515
172
200
664
80
55
-
48
14
8
195
36
50
9
1.150
-
-
500
400
120
300
-
-
-
200
-
10
20
1.578
860
513
1.134
144
105
-
98
40
13
1.000
89
81
23

Fonti: A. Errera, Storia e statistica delle industrie venete e accenni al loro avvenire, Venezia 1870; Camera di Commercio ed Arti Provincia di Vicenza, Relazione statistico-commerciale della Provincia di Vicenza, Vicenza 1892 (elabor. Giovanni L. Fontana)

 

1.4 LA FINE DEL SECOLO E LE DUE GUERRE

In seguito alle crisi di fine secolo, le scelte politiche errate e i ritardi tecnologici frenano l'industria laniera thienese; il protezionismo, l'interventismo statale e l'emigrazione seguita alla crisi agraria del 1880 limitano le possibilità di tutta l'area, ma la struttura socio-economica resta: nuove energie imprenditoriali, attirate e create da questi piccoli centri li pongono in alternativa ai maggiori centri urbani, in confronto diretto con Vicenza e con Venezia.
All'inizio del XX secolo la generazione degli imprenditori già mostra segni di cambiamento: i grandi tecnici di geniale inventiva che avevano dato il via e poi sostenuto lo sviluppo industriale lasciano il posto a chi è cresciuto nelle scuole tecniche e si è affinato nei quadri delle aziende.
Nella prima metà del 900 lo sviluppo delle industrie altovicentine non si ferma: il lanificio Rossi è, almeno fino agli anni '20, il maggior complesso tessile italiano, la provincia di Vìcenza si presenta alle soglie del XX secolo come la portabandiera dell'industrializzazione regionale.
I fatti salienti di questo periodo, che però non apportano grosse variazioni localizzative e strutturali, sono le due guerre mondiali, che qui non causano grossi danni materiali (scontato il fatto stesso di svolgersi), i moti operai del 1920-21, che si fanno sentire soprattutto nei grandi stabilimenti tessili, venendo in parte ridimensionate, i progressi tecnici e i miglioramenti produttivi, la favorevole congiuntura degli anni '30, l'incremento degli addetti nell'industria.
Fatto importante è la crisi del lanificio Rossi nel 1920 (dopo parziali riprese necessiterà dell'intervento statale): la dispersione produttiva, se aveva evitato grandi conflittualità operaie, rendeva oltremodo oneroso il trasporto dei semilavorati e difficile la flessibilità; inoltre faide azionarie avevano indebolito il capitale di comando paralizzando l'attività: Gaetano Marzotto tentò la scalata del gruppo Rossi, ma rinunciò causa i tempi lunghi, accontentandosi di raccoglierne l'eredità di grande complesso tessile con la sua ditta Marzotto.

1.5 IL SECONDO DOPOGUERRA E IL BOOM ECONOMICO

Passata la fase originale della prima industrializzazione, l'area si ritrova con uno sviluppo già avanzato per cui, negli anni '50 del boom, il fenomeno si presenta, relativamente alla situazione, attenuato.
Lo sfondo nazionale è quello del miracolo economico, con l'aumento delle esportazioni e degli investimenti e l'internazionalizzazione, il contesto regionale si presenta in fase di ristrutturazione dell'assetto produttivo in senso moderno: qui il decollo non avviene, come per il paese, negli anni '50, ma nel decennio successivo, con una logica di espansione sul mercato internazionale anche a scapito di quello nazionale.
L'area altovicentina presenta caratteri originali sia rispetto al Veneto che rispetto all'Italia: rispetto al Veneto perché anticipa la sua espansione collocandola negli anni '50, rispetto all'Italia per la diversità delle cause, pur in presenza di un boom contemporaneo.
L'impronta è già chiara, l'importanza dell'industria vasta, c'è chi vede un'affinità con il triangolo industriale (Busello, 1991), nel dopoguerra gli addetti al settore manifatturiero dell'intera provincia occupati nel solo comparto tessile sono il 46% (dunque nella zona pedemontana a grande concentrazione di industrie la percentuale sale). Ma l'industrializzazione nell'immediato dopoguerra si presenta anche con insediamenti locali che hanno superato le difficoltà e si presentano con rinnovato vigore: meccanica, legno, carta.
Negli anni '50 gli addetti all'industria aumentano di poco piu di 2000 unità, cioè quasi raddoppiano: l'attrazione si fa sentire nei paesi vicini spostando da essi manodopera e residenti (+ 13,6%).
Il decennio '50-'60 segna in tutta l'area scledense e valdagnese un rafforzamento della grande industria e la nascita dell'indotto; lo sviluppo è estensivo, i fattori localizzativi sono ancora quelli tradizionali ai quali si aggiunge, per l'indotto, la presenza di aziende già in grado di assicurare subforniture importanti. Nuove piccole aziende nascono, per la maggior parte dei casi, per opera di ex quadri o ex operai che si mettono in proprio: il laboratorio o l'officina sorgono dietro casa o nelle immediate vicinanze, si sfrutta la rete di conoscenze acquisite localmente lavorando a dipendenza, si applicano tecnologie spesso vecchie, scarti magari delle grandi aziende, causa le ristrette possibilità di finanziamento.
Negli anni '60 l'altovicentino continua la sua trasformazione: perde prevalenza il settore tessile ma si presenta più equilibrato, con settori ormai maturi come la pelle, il cuoio e soprattutto la confezione. Il riassetto produttivo nel tessile (che si concluderà negli anni '70) porta ad una flessione di addetti e unità locali ed ad un aumento nella dimensione delle aziende (contrariamente a quanto accade nel resto del paese).
A Thiene, più che a Schio e Valdagno, si assiste al boom delle attività industriali con un'elevata diversificazione; gli addetti continuano ad aumentare divisi in una miriade di piccole aziende ed in alcune grosse ditte tessili.
Nel comprensorio scledense invece l'economia sembra ristagnare: l'ormai compiuta crisi del Lanificio Rossi, assorbito dall'ENI nel 1964, provoca un calo di addetti ed aziende a Schio e a Piovene Rocchette, che perde ben 800 posti di lavoro, tutto ciò perché, a differenza di Thiene, Schio è ancora, fino a questo periodo, notevolmente condizionata da questa grande azienda.
La carta vincente per mantenersi sul mercato è ora lo sviluppo intensivo: innovazione, qualità ed export caratterizzano le imprese che rimangono a galla, facendone i punti cardine della zona; nella relazione agli industriali di Schio del 12 giugno 1969 viene asserito che "..il fattore umano è più che mai determinante per la prosperità, le capacità concorrenziali e di espansione delle nostre aziende".
Negli anni '70 si assiste nell'area ad un secondo boom tutto locale: performances straordinarie, potenziamento delle capacità produttive, innovazione ed aumento delle vendite sono utilizzate per contrastare i problemi che caratterizzano la zona in questi anni e cioè carenza di manodopera, problemi di rinnovo del contratto di lavoro, assenteismo, aumento del costo dei lavoro.
A Schio sembra conclusa la difficile fase degli anni '60, nascono molte nuove aziende con un particolare trend positivo nel caso del comune di Malo, dove le unità locali raddoppiano e gli addetti aumentano del 60% ma anche negli altri comuni della sfera scledense si registrano dati positivi.
Alla fine del periodo l'area di Schio si trova ancora a primeggiare in provincia in termini di imprese locali ma non di addetti; l'espulsione di tanti lavoratori da un'aziencla così ricca di esperienza come la Lanerossi continua a dare i suoi frutti in termini di creazione di un universo di piccole imprese.
Anche nel thienese si registrano momenti positivi in un periodo difficile per il resto del paese, soprattutto per quanto riguarda il settore dell'abbigliamento.
A Valdagno, Pietro Marzotto ha traghettato (dal 1972 al 1998) l'azienda di famiglia da una situazione di grave crisi alla proclamazione di primo gruppo tessile europeo. Dopo "aver sistemato i conti" chiudendo stabilimenti in perdita, conducendo trattative durissime con i sindacati e cominciando ad allacciare rapporti con il capitalismo importante, a partire dalla seconda metà degli anni '80 avviò quella che può essere chiamata "la strategia dell'espansione". Portò a casa per pochi soldi la Lanerossi, facendo quasi un favore all'Eni che riteneva l'azienda scledense una palla al piede (Lanerossi e Marzotto, prima rivali, furono così unite da un'unica strategia); comprò il gruppo Bassetti con il Linificio e Canapificio nazionale; all'estero, dopo l'acquisto della filatura Le Blan & Fils in Francia, fece il definitivo salto di qualità rilevando il pacchetto di maggioranza della tedesca Hugo Boss. Siamo nel '91 e il Gruppo Marzotto diventa a tutti gli effetti un protagonista del mercato europeo con marchi prestigiosi e volumi d'affari sempre in crescita.
La forza dell'industria del tessile-abbigliamento altovicentina è ancora la conquista di nuovi mercati e l'ottima qualità dei prodotti (anche vecchi) anche se l'area resta informativamente isolata: l'innovazione, quando c'è, nasce per lo più all'interno.
Per tutto il decennio l'area cresce e prospera seguendo il trend nazionale: la fitta trama di piccole e medie aziende che copre il settore é consolidata e serve ad assorbire piccole crisi.
Ma se le piccole aziende si sono dimostrate così utili nell'assorbire colpi limitati, non così facile è la situazione degli anni '90; soprattutto le imprese di subfornitura sono le prime a risentire della crisi attuale: le grosse aziende riportano all'inteno le produzioni per sopperire alla diminuzione della domanda e l'indotto ne fa le spese. Altro punto debole di un tessuto di piccole imprese è la mancanza di potere soprattutto finanziario: la carenza di liquidità è stata causa in questi ultimi anni di fallimenti e crisi che hanno coinvolto diverse aziende.
La stasi in tutta la zona ricalca la situazione nazionale: cali nei livelli di produzione, diminuzione della domanda interna e delle esportazioni, difficoltà negli incassi, tasso di crescita economica pressoché pari a zero.
La crisi si innesca alla fine del 1990-inizio 1991, dopo 8 anni di crescita ininterrotta: riguarda un po' tutti i settori industriali e quindi, purtroppo, anche quello del tessile-abbigliamento.

1.5.1 Una nuova vocazione: la metalmeccanica.

Mi sembra opportuno, a questo punto, fare una breve digressione sul settore più importante dell'area assieme ovviamente al tessile-abbigliamento.
L'industria metalmeccanica nasce già nel XIX secolo ma si sviluppa in modo massiccio soprattutto negli anni '60-'70. Il sorgere di questa industria è comunque condizionato dalla presenza del tessile: è la risposta alla necessità di sviluppare e costruire macchinari adatti, ed è dunque fattore primo di localizzazione.
Ma anche nell'industria del legno esiste una domanda di macchine per la lavorazione e si ripete perciò quel fattore di complementarità visto sopra; sono inoltre importanti anche i fattori antropici: presenza di una manodopera specializzata (saper usare una macchina significava conoscerla) e soprattutto grande disponibilità di manodopera maschile, visto che il settore tessile si può ritenere in gran parte solo femminile.
L'industria meccanica si consolida progressivamente attraverso un insieme di piccole e medie imprese a imprenditorialità diffusa (anche se non si possono scordare importanti aziende come la De Pretto, la Zanon e la Ilma) spingendo verso la specializzazione dell'area, tuttavia senza mai raggiungerla completamente.

1.6 GLI ANNI '90: LA CRISI NEL SETTORE E LA RIPRESA ECONOMICA

L'industria italiana ha attraversato, tra il 1989 e il 1994, un periodo di grave crisi economica che non ha, naturalmente, risparmiato il settore del tessile-abbigliamento dell'Alto Vicentino.
Quest'area, comunque, ha dimostrato una capacità di tenuta superiore alla media nazionale. Infatti, nel 1993, anno di massima crisi, di fronte ad una caduta di quasi l'1% del fatturato nazionale, l'industria altovicentina ha registrato una capacità di crescita del fatturato di circa il 4%. La crisi comunque ha pesato in maniera assai consistente come dimostra il fatto che l'andamento della produzione è rimasto sostanzialmente invariato rispetto all'anno precedente, registrando variazioni nettamente inferiori alla dinamica inflattiva.
Alla stagnazione del valore della produzione si è contrapposta una crescita più sostenuta dei costi; in particolare, la variazione del costo del lavoro è risultata superiore a quella del valore della produzione anche se inferiore più contenuta rispetto alla crescita del fatturato. La crescita del costo del lavoro per quanto limitata e la maggiore incidenza dei costi fissi, determinata dalla frenata produttiva, sono state alla base del profilo nettamente negativo dei risultati di gestione: il bilancio generale del settore ha chiuso con un forte ridimensionamento dell'utile e tutti gli indicatori di redditività hanno registrato un andamento negativo su cui pesa anche il consistente carico di oneri finanziari alimentato da una situazione patrimoniale nella quale l'apporto dell'autofinanziamento è apparso limitato.

1.6.1 L'industria tessile

Il tono negativo sperimentato nell'insieme dell'industria del T-A altovicentina ha coinvolto solo in minima parte le imprese dei comparti a monte produttrici di filati e tessuti. Il tessile in effetti ha registrato nel corso del 1993 una capacità di sviluppo assai consistente, superiore anche alle dinamiche medie nazionali. Su tale risultato ha influito probabilmente il beneficio di competitività assicurato dalla manovra sul cambio messa in opera dal governo italiano nell'ultimo trimestre del 1992. Ne è derivata un'attrattività di prezzo dei prodotti tessili che ha consentito ai produttori di questi comparti di catturare anticipatamente i primi sintomi della ripresa della domanda internazionale rispetto a quanto è avvenuto per i comparti a valle del vestiario. Sono cresciuti in effetti il fatturato e il valore della produzione con ritmi superiori a quelli del costo delle materie prime, ma nel complesso la dinamica dei costi esterni si è allineata a quella delle vendite segnalando una difficoltà a trasferire compiutamente sui clienti il maggior carico di costi operativi. Tra i diversi costi una crescita sostenuta si è registrata per quanto riguarda quello del lavoro, la cui variazione resta comunque inferiore a quella segnalata dalle vendite determinando una minore incidenza di questa voce sul fatturato settoriale. L'effetto finale è un risultato di gestione positivo e in crescita, che si è trasmesso positivamente anche sull'andamento della redditività e della capacità di autofinanziamento delle aziende. Da sottolineare però come il recupero di redditività sia stato alimentato prevalentemente dal miglioramento dell'efficienza gestionale ottenuto attraverso un'espansione dei volumi produttivi che ha consentito un più efficiente utilizzo della capacità produttiva. Questo obiettivo è stato perseguito anche attraverso il contenimento dei margini unitari delle vendite.

1.6.2 L'industria dell'abbigliamento

Di segno nettamente opposto è stato il risultato delle imprese dei settori a valle dell'abbigliamento: è calato il fatturato e ancor più il valore della produzione. La riduzione dell'attività produttiva si è trasferita in misura sostanzialmente analoga sui costi esterni e anche la dinamica del costo del lavoro si è mantenuta tale da non modificare significativamente il peso di questa voce di costo. L'intensità della frenata è stata tale da non consentire adeguati interventi di contenimento sull'insieme dei costi fissi aziendali, di modo che si è registrata una pesante caduta dei risultati di gestione della redditività aziendale. Ciò ha alimentato un effetto negativo anche sull'equilibrio finanziario dove è stata segnalata un'elevata incidenza di grado di indebitamento, del costo del debito e un dimezzamento della capacità di autofinanziamento. Questo profilo negativo della dinamica del settore dell'abbigliamento è risultato più sfumato nell'analisi dei risultati delle imprese terziste che hanno registrato impatti meno pesanti per quanto riguarda la dinamica produttiva e delle vendite ma che hanno condiviso con l'insieme del settore di appartenenza il brusco ridimensionamento degli indicatori di redditività.

1.7 CONCLUSIONI

Anche se sufficientemente omogenee dal punto di vista territoriale e da quello industriale attuale le zone di Schio, Thiene e Valdagno, con le rispettive aree di influenza, seguono, come visto, un inizio piuttosto diverso, influenzandosi però a vicenda.
Schio vive il fenomeno Rossi, ne è plasmata e modellata nella sua struttura sia industriale che sociale; espande il suo tessuto ai comuni vicini, in particolar modo Torrebelvicino a Ovest, Santorso e Piovene Rocchette a Est, toccando comunque tutta l'area attraverso un continuo flusso di mezzi e informazioni.
Il thienese mantiene la sua anima agricola e commerciale, preparandosi però al boom industriale degli anni '50 per mezzo di poche grandi aziende e di una moltitudine di piccole, diversificando maggiormente le sue attività, anche se il settore tessile resta comunque dominante.
Valdagno infine, deve ringraziare, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, per i successi della sua industria laniera, la famiglia Marzotto che l'ha influenzata in maniera tale da modificarne anche la struttura urbana.