CAPITOLO 4
LA DOMANDA
TORNA ALL'INDICE
4.1 LE NUOVE TENDENZE DEI CONSUMATORI
Negli ultimi anni uno sconvolgimento nell'atteggiamento del consumatore
finale ha determinato nuove regole strategiche che gli imprenditori dell'abbigliamento
dovranno seguire per raggiungere e conquistare il mercato. Le nuove tendenze
possono essere identificare nella necessità di distinzione, a significare
l'importanza oggi attribuita dal consumatore all'affermazione della propria
personalità, non più attraverso degli "status simbol"
(come negli anni '80), ma attraverso scelte di prodotto gestite in grande
libertà e frutto della propria capacità di trasferire nell'abbigliamento
le proprie motivazioni sociali e culturali.
I motivi che caratterizzano la domanda alla fine degli anni '90 sono in
sostanza la personalizzazione dei consumi, il venir meno di veri e propri
"trend" sostituiti piuttosto da tanti piccoli "micro-trend"
e un forte eclettismo che può portare a delle scelte di consumo
anche contraddittorie. Fattore strategico sempre più importante
per il successo di un'impresa si rivela quindi la capacità di adattare
con tempestività strutture produttive e variabili commerciali alle
esigenze mutevoli della clientela attuale e potenziale, realizzando un
approccio gestionale-organizzativo fondato sull'orientamento al mercato.
Se tradizionalmente la macchina del Sistema Moda era a "circuito
chiuso", senza un reale rapporto con il mercato, oggi deve dedicare
maggiore attenzione a recepire le informazioni dal mondo dei consumatori,
dialogando con esso in maniera più consapevole di quanto non sia
avvenuto nel passato.
Le nuove tendenze del consumo d'abbigliamento si possono riassumere in
sei punti fondamentali:
- maggiore autonomia dei consumatori rispetto alla pubblicità
e ad altre forme di persuasione.
- il capo d'abbigliamento come bene semi-durevole.
- il capo come espressione della propria personalità.
- l'ecologia anche nel vestire.
- crescente importanza del rapporto qualità/prezzo.
- guardaroba "polivalente" e resistente alle mode.
Oggi, la moda intesa come fenomeno che influenza gli
acquisti delle masse, è sempre più destrutturata, priva
di regole, fulminea nei cambiamenti e quindi sempre più imprevedibile.
Ed i mass-media, che hanno la capacità di mostrare in tempo reale
immagini delle nuove tendenze in tutto il mondo sollecitando l'istantaneo
"desiderio d'acquisto" in milioni di consumatori, non fanno
altro che accentuare maggiormente questo processo.
Il flusso della moda, oggi caratterizzato da pochi cicli sequenziali e
scanditi temporalmente da "milestones" inviolabili (le date
di presentazione delle due collezioni stagionali), deve avvicinarsi maggiormente
alle esigenze vere dei consumatori, facendo propria una filosofia di "non-stop-creativity"
caratterizzata dalla presenza di maggiori proposte mirate. La logica d'acquisto
dei consumatori è notevolmente mutata. La tirannia dello stile,
del "total look" imposta dalla scadenza delle collezioni stagionali
si sta stemperando, lasciando il posto alla logica dell'occasione d'acquisto
e, soprattutto, dell'occasione d'uso. L'occasione d'acquisto è
legata a doppio filo con la logica del prezzo: la ricerca dell'affare
o del saldo intelligente. Questo significa che, per proporre il giusto
rapporto qualità-prezzo, sarà necessario concentrare le
proposte, evitando inutili sprechi di energie "stilistiche"
(si calcola che si perda, per selezioni successive, circa il 50% del lavoro
stilistico), indirizzandosi verso mercati consolidati o nuovi in crescita,
oppure ricercando nuove opportunità strategiche.
Se un tempo nella moda la parola chiave era "status symbol",
l'oggetto attravero cui la gente tentava di qualificarsi, oggi il termine
magico è "trend setter", ovvero il personaggio o il particolare
evento nel quale la massa temporaneamente si identifica: è per
questo che ogni azienda deve caratterizzare con esattezza e consapevolezza
il suo prodotto.
Ciò che deve ispirare l'intera strategia di mercato e costituirne
l'ossatura centrale, è riuscire a dare un profilo di personalità
e di identità al proprio sistema di offerta, in modo tale da non
risultare banalizzati e confusi con la molteplicità di concorrenti
presenti sul mercato.
Concludendo, è essenziale ricordare come la differenziazione del
sistema di prodotto e di offerta non si realizza più solamente
attraverso il prezzo o la qualità: oggi ha assunto un'importanza
fondamentale l'incidenza di fattori differenzianti contenuti nel prodotto
come lo "styling", il "brand image", la novità
in senso assoluto ottenuta con nuovi tessuti, nuovi colori, ecc.
4.2 LA DOMANDA INTERNA E LE ESPORTAZIONI
Il settore del tessile-abbigliamento sta attraversando,
negli ultimi anni, una crisi dovuta principalmente alla crescente pressione
competitiva dei concorrenti stranieri e alla stagnazione della domanda
nel mercato interno.
Il fattore che favorisce maggiormente la penetrazione nel mercato italiano
dei Paesi in via di sviluppo (principalmente sud-est asiatico, nord-africa,
Turchia) è il maggior costo della manodopera. Questo lo si può
notare soprattutto per i prodotti a basso contenuto moda (capi casual
e spesso continuativi), dove diviene meno importante il "made in
Italy".
Sul mercato interno, il mutato comportamento dei consumatori e la recessione
degli anni '90 hanno causato una brusca diminuzione della domanda. Sintetizzando,
sono tre i motivi che hanno causato la perdita di potenzialità
del settore:
- la competizione dei concorrenti stranieri con un minore costo del lavoro.
Per capire quanto questo aspetto sia importante, basti pensare che, per
esempio nelle confezioni, l'incidenza media della manodopera sul valore
aggiunto è di circa il 40 %;
- l'accresciuta importanza della distribuzione organizzata. Questa, a
differenza della vendita al dettaglio, può acquistare prodotti
direttamente all'estero o può produrli lei stessa direttamente
(private label), a scapito delle aziende nazionali;
- l'alta frammentazione dei produttori. Si pensi che oltre la metà
degli operatori ha un fatturato inferiore ai 500.000.000, con inevitabili
limiti di risorse finanziarie e manageriali; si capisce quindi come non
sia in grado di competere su scala internazionale con i concorrenti stranieri.
4.2.1 La domanda interna
Sul mercato interno permane una tendenza di basso profilo
nei consumi di vestiario da parte dei compratori italiani che è
certamente attribuibile in larga parte al mancato superamento di un clima
di sfiducia che ancora pervade le aspettative di molte famiglie.
Queste negli ultimi anni hanno visto comprimere il loro reddito reale
disponibile in maniera assai consistente (solo nel periodo 1992-1994 di
circa sei punti percentuali); questa caduta ha deteminato:
- una inversione del trend dei consumi;
- una resistenza selettiva delle famiglie alla compressione dei consumi
che ha portato da un lato a ridurre la propensione al risparmio per sostenere
i consumi ritenuti indispensabili e, dall'altro, al sacrificio di alcune
voci di spesa considerate rinviabili o meno necessarie, tra cui rientrano
anche gli acquisti di vestiario.
Tale tendenza non sembra destinata a modificarsi nel breve periodo. L'attenzione
alla dinamica inflattiva, al contenimento del disavanzo e al riassorbimento
del deficit statale spingono in direzione del permanere di una politica,
sia di spesa che tributaria, di orientamento restrittivo, con effetti
contenitivi sul reddito delle famiglie italiane che non lasciano spazi
a inversioni di tendenze nella dinamica dei consumi in generale, e tanto
meno di quelli di vestiario.
Questo mutamento nel comportamento di acquisto non è però
riconducibile solo a dinamiche di natura economica. L'esplodere della
crisi economica ha cioè portato ad una formidabile accelerazione
processi che erano già in atto, facendo loro assumere una consistenza
ed una visibilità ben più nette.
Innanzitutto, la progressiva trasformazione dei modelli di acquisto prevalenti
tra i consumatori, entro cui emergono:
- una minore influenzabilità delle scelte di acquisto, che risultano
così meno dipendenti da fattori quali il prestigio della griffe
o il differenziale di spinta pubblicitaria;
- una più marcata capacità di selezionare i prodotti
secondo criteri personalizzati e di formulare in proprio stili di abbigliamento
individuali;
- una minor sensibilità alle tendenze moda stagionali;
- una maggiore capacità di valutazione del prodotto da cui scaturisce
anche la crescente attenzione al binomio qualità-prezzo;
- nell'affermazione di comportamenti multiformi da parte dello stesso
soggetto che può essere sia acqirente di capi di alta fascia
presso negozi qualificati, sia, in un altro momento, cliente di punti-vendita
specializzati in assortimenti di prezzo limitato.
4.2.2 Le esportazioni
La dinamica sostenuta delle esportazioni ha permesso
prima di attutire la caduta produttiva e ha costituito poi il motore della
ripresa avviatasi nel 1994.
La ripresa delle esportazioni si colloca tuttavia all'interno di un trend
di lungo periodo segnato da una crescente erosione delle esportazioni
italiane sul mercato mondiale, essenzialmente a favore di nuovi concorrenti
a basso costo del lavoro. Ciò vale in particolare per i prodoti
di vestiario (tabella 4.2.1 e 4.2.2), per i quali nel corso degli anni
'80 si è assistito ad una esplosiva crescita del ruolo di paesi
come la Cina, Hong Kong, Turchia, India, Taiwan, Tailandia; crescita che
ha investito anche i tradizionali sbocchi delle esportazioni italiane,
primo fra tutti il mercato UE.
Rispetto a questo quadro di fondo la ripresa delle esportazioni italiane
intervenuta dal 1993 costituisce quindi una svolta significativa e ripropone
con tutta evidenza il ruolo chiave che la manovra sul cambio ha avuto
nel modificare il grado di competitività internazionale dei prodotti
italiani.
Quanta parte di questa ritrovata forza competitiva sia destinata a consolidarsi
in un vantaggio duraturo è tuttavia un tema che resta aperto e
che va affrontato cercando di comprendere in quale misura le imprese si
stiano attrezzando, anche sulla base del differenziale competitivo aggiunto
offerto dalla svalutazione, per strutturare azioni in grado di affrontare
con successo le trasformazioni che si sviluppano nel contesto competitivo
internazionale.
Tab.4.2.1 Quote % dei principali Paesi esportatori
sul commercio mondiale di prodotti tessili
Paese |
1980 |
1993 |
|
|
|
Germania
Hong Kong
Italia
Corea
Cina
Taiwan
Giappone
USA
Francia
Regno Unito
Pakistan
India
|
11,4
0,0
7,6
4,0
4,6
3,2
9,3
6,8
6,2
5,7
1,6
2,1
|
10,3
9,7
8,7
7,8
7,5
7,1
5,8
5,2
4,7
3,5
3,0
2,5
|
Fonte: International Trade, GATT, 1994
Tab.4.2.2 Quote % dei principali Paesi esportatori
sul commercio mondiale di prodotti di abbigliamento
Paese |
1980 |
1993 |
|
|
|
Hong Kong
Cina
Italia
Germania
Corea
USA
Francia
Turchia
Tailandia
Taiwan
India
|
0,0
4,0
11,3
7,1
7,3
3,1
5,7
0,3
0,7
6,0
1,5
|
15,8
13,9
8,9
5,1
4,6
3,7
3,4
3,3
3,1
2,8
2,7
|
Fonte: International Trade, GATT, 1994
Tab.4.2.3 Distribuzione % delle esportazioni del
tessile-abbigliamento italiane per Paese
Paese |
Quote
|
|
|
Germania
Francia
USA
Giappone
Regno Unito
Spagna
Svizzera
Bel-Lux
Hong Kong
Austria
Paesi Bassi
Grecia
Portogallo
Corea
Tunisia
Svezia
Taiwan
Altri Totale UE
Totale non UE
Totale mondo
|
24,2
12,2
6,9
6,2
6,0
4,3
3,8
3,4
3,1
2,8
2,7
2,1
2,1
1,6
1,0
0,9
0,9
14,9
58,2
41,8
100,0
|
Fonte: Federtessile, 1995
In particolare:
- la modificazione nell'importanza relativa delle diverse
aree di mercato internazionale;
- la crescente dimensione globale dello scenario competitivo, specie alla
luce del venire meno nei prossimi anni delle protezioni assicurate dall'AMF.
Sul primo punto si deve rilevare come la composizione
per paese della destinazione delle esportazioni italiane evidenzia la
crescente importanza di nuove aree di domanda che segnalano una dinamica
nettamente superiore rispetto ai tradizionali mercati dei prodotti del
tessile-abbigliamento italiani. Infatti la crescita delle vendite nei
mercati europei è nettamente più contenuta rispetto ai flussi
di export rivolti verso gli altri mercati; quelli che hanno registrato
un aumento più consistente riguardo gli acquisti di prodotti "made
in Italy" sono Corea (68 %), Giappone (43,6 %) e Hong Kong (38,8
%).
Riguardo il secondo punto, l'ultimo ciclo di negoziati GATT (l'Uruguay
Round) ha stabilito la definitiva abrogazione dell'Accordo Multifibre
(AMF) che regolava gli scambi commerciali tessili, abrogazione che sarà
completata al termine di un periodo transitorio di dieci anni. Il venir
meno di barriere protettive verso le esportazioni di prodotti a basso
costo provenienti dai paesi emergenti comporta un appesentimento della
pressione competitiva cui le imprese italiane non possono far fronte facendo
leva su un sistema di produzione ancora quasi esclusivamente domestico.
Sotto questo profilo il problema che si pone alle imprese italiane non
è certamente quello di una locale rilocalizzazione della base produttiva,
quanto piuttosto di necessità di dar corpo a strategie globali
basate su una reale multilocalizzazione delle fonti di approvvigionamento
(attraverso investimenti diretti o acquisti da fornitori internazionali)
in ragione delle diverse combinazioni prodotto/mercato perseguite .
4.2.3 L'Accordo Multifibre e gli Accordi di Associazione
Da oltre trent'anni, il commercio internazionale del
tessile-abbigliamento rappresenta un'eccezione al libero scambio; infatti,
i primi accordi che regolamentano i flussi commerciali in questo settore
li troviamo già nei primi anni '60.
Esiste una rilevante asimmetria nel trattamento dei traffici provenienti
dai paesi in via di sviluppo (PVS) produttori a basso costo e quelli provenienti
dai paesi industrializzati: i primi sono regolamentati da contingenti
all'importazione negoziati bilateralmente nell'ambito dell'Accordo Multifibre
(AMF), i secondi sono essenzialmente liberi o soggetti solamente a barriere
tariffarie.
L'AMF, che è stato introdotto temporaneamente nel 1974 dal GATT
(General Agreement on Traffic and Trade) per durare solo quattro anni,
si è rinnovato di volta in volta fino al 31 dicembre 1994, divenendo
sempre più restrittivo, sia per quanto riguarda i prodotti coperti,
sia per quanto riguarda i paesi interessati.
Con l'ottavo ciclo di negoziazioni multilaterali del GATT (l'Uruguay Round),
il commercio internazionale del tessile-abbigliamento è stato avviato
faticosamente verso il libero scambio. L'Accordo è stato siglato
il 15 aprile 1994 a Marrakech e prevede il graduale smantellamento dell'AMF
e la completa liberalizzazione del settore per il 2005. Fino ad allora
però il commercio tra paesi industrializzati e PVS continuerà
ad essere "protetto".
Oltre all'AMF esistono altri tipi di accordi: l'Unione Europea (UE), che
costituisce globalmente il principale mercato per i prodotti provenienti
dai paesi dell'ex COMECON, ha recentemente intrapreso importanti passi
per migliorare le proprie relazioni commerciali con la maggior parte di
essi.
Sono stati stretti degli Accordi di Associazione (i cosiddetti "Accordi
Europei") con Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania
e Bulgaria; l'Albania, le Repubbliche Baltiche, la Comunità degli
Stati Indipendenti (CSI) e la Slovenia sono invece legate all'UE da Accordi
di Cooperazione Economica.
Gli Stati dell'Europa orientale quindi, discriminati precedentemente rispetto
ai PVS da un atteggiamento più aggressivo, godono di maggiori concessioni
rispetto ai paesi appartenenti al bacino mediterraneo, ai paesi sudamericani
e a molti altri paesi industrializzati non appartenenti all'UE.
Tornando all'AMF, il suo obiettivo era quello di assicurare uno sviluppo
equo ed ordinato del settore sia nei paesi importatori sia in quelli esportatori:
questo attraverso una riduzione progressiva degli ostacoli e una graduale
liberalizzazione degli scambi.
In realtà, questo accordo ha consentito ai paesi importatori di
organizzare e spartire il mercato mondiale del tessile-abbigliamento o
negoziando bilateralmente con i PVS esportatori, o imponendo loro contingenti
alle importazioni in caso di "market disruption ".
L'AMF, comunque, con l'Uruguay Round, ha cessato di esistere. Al suo posto
è stato concluso l'Accordo sul Tessile e Abbigliamento (ATA): esso
prevede lo smantellamento in dieci anni delle restrizioni quantitative
con un'ampia discrezione dei paesi importatori per la scelta delle categorie
da liberalizzare. Queste, però, devono appartenere a tutti e quattro
i gruppi in cui sono suddivisi i prodotti del settore oggetto d'indagine:
nastri e filati, tessuti, prodotti tessili confezionati e prodotti dell'abbigliamento.
L'ATA, che sarà articolato in quattro fasi, prevede la progressiva
soppressione dei prodotti tessili che possono essere contingentati (16%,
17%, 18%, 49%) e il graduale incremento dei contingenti rimasti (16%,
25%, 27%) .
Tab.4.2.4 Le controparti dell'UE nell'Accordo
Multifibre
America latina |
ASEAN |
Paesi a
commercio
di stato
|
Paesi dominanti dell'Estremo
oriente "Tigri asiatiche"
|
Subcontinente
indiano
|
|
|
PECO |
Ex-URSS |
Cina |
Ex-Jugoslavia |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Argentina
Brasile
Colombia
Guatemala
Haiti
Messico
Perù
Uruguay
|
Indonesia
Malesia
Filippine
Singapore
Tailandia
|
Bulgaria
Polonia
Romania
Ungheria
Rep.Ceca
Slovacchia
|
Bielorussia
Russia
Ucraina
Uzbekistan
|
Cina |
Ex-Jugoslavia |
Corea del sud
Hong Kong
Macao
Taiwan
|
Bangladesh
India
Pakistan
Sri-Lanka
|
Fonte: A.Brugnoli, L.Resmini (1997)
Per le aziende altovicentine, come del resto per tutte
le aziende italiane, dopo l'Uruguay Round si profila un futuro incerto:
molto probabilmente risulteranno sfavorite soprattutto le lavorazioni
con alto contenuto di lavoro non specializzato (quindi più l'industria
dell'abbigliamento che non quella tessile).
4.3 LA STAGIONALITA' ED IL CONTENUTO
MODA
Le caratteristiche di un capo d'abbigliamento sono principalmente
tre:
- la stagionalità del capo. Per stagionalità
si intende la durata della vita del prodotto nel negozio (shelf life),
prima che diventi praticamente invendibile a prezzo pieno. Generalmente
i fattori che guidano la stagionalità sono due:
- ci sono capi che possono appartenere solo ad una stagione
meteorologica. Per esempio risulta impossibile vendere capi invernali
rimasti sugli scaffali in estate ad un prezzo pieno;
- il contenuto moda del prodotto. I capi di moda o "fashion"
rimarranno invenduti se, anche nella stagione meteorologica giusta,
muteranno improvvisamente i gusti del consumatore finale;
- la durata della vita di un capo dopo la vendita. Si parla ovviamente
dei prodotti fashion ed indica il periodo dopo l'acquisto in cui il capo
si può definire conforme alle ultime tendenze di moda;
- la presenza nel prodotto di elementi intangibili.
Si stima che al giorno d'oggi la moda è composta per metà
da prodotto e per metà da "fumo": però è
proprio questo che fa guadagnare al capo quel quid capace di imporlo sul
mercato.
Riassumendo, più un capo d'abbigliamento ha un
forte contenuto moda incorporato, più accentuato sarà il
fenomeno della stagionalità (shelf life).
La differenza tra i capi moda e i continuativi è essenzialmente
questa: i primi hanno un potenziale di vendita maggiore, ma questa sarà
più concentrata nel tempo.
I produttori di capi con contenuto moda devono essere più celeri
e attenti alle variazioni delle tendenze di mercato rispetto a quelli
che producono capi continuativi; bisogna però ricordare come in
genere la maggior parte delle aziende di confezioni assicurino entrambe
le tipologie di prodotto ai negozi.

Adattato da: Hunter (1990) su ricerche della KSA
Tutto questo vale, ovviamente, non solo per l'abbigliamento ma anche per
il settore tessile che fornisce al primo il prodotto da confezionare.

Adattato da U.S. Department of Commerce
4.4 LA DISTRIBUZIONE NELL'ABBIGLIAMENTO
Tradizionalmente vengono distinte tre tipologie di distribuzione:
- i negozi tradizionali indipendenti o il dettaglio:
questi vendono prodotti di più marchi o griffe, mantenendo comunque
una gamma generalmente caratterizzata da un determinato stile (abbigliamento
sportivo, casual, alta moda, ecc). I dettaglianti in genere acquistano
parte del campionario dagli agenti delle varie case e spesso devono sottostare
a precise norme di rispetto delle politiche di marketing e di prezzo imposte
dal marchio o dalla griffe;
- distribuzione organizzata monomarca: è, per
la maggior parte dei casi, costituita da catene di negozi in franchising;
ad essi si aggiungono tutte le forme di succursali (Stores, Corner, Empori,
ecc.) delle varie aziende, che possono essere sia indipendenti sia controllate
direttamente dalla casa madre;
- distribuzione organizzata plurimarca: è, generalmente,
costituita dalle catene di super/ipermercati, centri commerciali e grandi
magazzini che espongono al loro interno diverse marche. Grazie alle dimensioni
della grande distribuzione e dei volumi di vendita che garantisce, l'agente
si occuperà solo della gestione degli ordini, mentre saranno il
distributore e il produttore che gestiranno direttamente la contrattazione
sui volumi e sui prezzi;
- la vendita per corrispondenza (V.P.C.) e la distribuzione
ambulante: tramite questa forma di distribuzione vengono venduti prodotti
con basso valore unitario e con basso servizio al cliente (per esempio
la qualità dei tessuti non riveste un ruolo importante nelle decisioni
d'acquisto, la scelta delle taglie è standard (M, L, XL), ecc.).
L'importanza delle varie forme distributive presenti
nei principali Paesi di sbocco per i prodotti made in Italy è assai
diversa rispetto a quella italiana (tab.4.4.1). In effetti, il nostro
è l'unico Stato in cui dominano ancora i negozi tradizionali. Questo
comporta:
- l'impossibilità di presentare ai distributori
di piccola dimensione tutta la gamma dei prodotti che, in ogni caso, non
sarebbe accessibile data la loro limitata disponibilità finanziaria;
- a causa di ordini troppo frammentati e diluiti temporalmente,
una notevole complessità di programmazione/pianificazione della
produzione e una certa difficoltà nel fare previsioni di vendita
affidabili su singoli articoli;
- una sostanziale dipendenza del piccolo distributore
dal produttore che, sovente nelle proprie azioni di marketing, preferisce
raggiungere direttamente il consumatore attraverso campagne pubblicitarie
(strategia di direct marketing e di corporate image);
- una crescente penetrazione della concorrenza soprattutto
esterna, specializzata nella produzione di pochi particolari prodotti
d'abbigliamento.
Un esempio di quanto appena detto lo possiamo ricavare
confrontando il marchio Marzotto con il suo marchio controllato Hugo Boss.
Marzotto, nonostante abbia come marchio un giro d'affari paragonabile
a quello della Hugo Boss, possiede in Italia un numero di clienti 10 volte
superiore al numero di clienti della sua controllata in Germania.
Tab.4.4.1 Distribuzione di abbigliamento e maglieria
nel 1993
Forme distributive |
Italia |
Francia |
Germania |
Giappone |
Stati Uniti |
|
|
|
|
|
|
Dettaglio
Distribuzione org. monomarca
Distribuzione org. plurimarca
Vendita per corrispondenza
Altro
|
70%
16%
13%
1%
0%
|
36%
21%
30%
13%
0%
|
39%
32%
15%
14%
0%
|
35%
24%
34%
nd
7%
|
15%
22%
49%
5%
9%
|
Elaborato da: Moda Industria, 1995
Nonostante ciò, la tendenza alla quale è soggetta la distribuzione
di abbigliamento e maglieria italiana, equiparandosi così a quella
americana, giapponese e dell'Unione Europea è, a grandi linee,
la seguente:
- il dettaglio tradizionale indipendente sembra destinato a perdere quote
di mercato e, lentamente ma inesorabilmente, a scomparire (nel 1988 il
79 % dei punti di distribuzione erano al dettaglio, nel 1993 sono divenuti
il 70 %);
- la distribuzione organizzata monomarca è senza dubbio la forma
più dinamica con netti incrementi dal 1988 (11 %) al 1993 (16 %);
- la distribuzione organizzata plurimarca e le vendite per corrispondenza
sembrano non avere incrementi così significativi (aumento dal 10
% al 14 %).
Le aziende altovicentine di abbigliamento, come del
resto un po' tutte le imprese italiane del settore, a causa della sempre
maggiore forza contrattuale del distributore, sono costrette a fornire
ai clienti, se vogliono rimanere competitive e non perdere rilevanti quote
di mercato, un pacchetto più completo di servizi in termini di:
- flessibilità ed elasticità ai mutamenti della domanda;
- maggiore puntualità delle consegne;
- riassortimento rapido degli scaffali;
- generale riduzione dei tempi di attraversamento e di consegna.
Con il minore frazionamento dei punti vendita, il flusso
informativo diviene finalmente bidirezionale: il produttore cioè,
grazie ad una collaborazione più stretta con gli stadi più
a valle della filiera, è in grado di raccogliere maggiori informazioni
sulle ultime tendenze di mercato. Questo è reso possibile dall'utilizzo
in maniera massiccia di tecniche informatiche quali il bar-code o il point-of-sale,
che riescono a registrare per prime le variazioni del gusto del pubblico.
4.4.1 I negozi in franchising
La diffusione di catene di franchising esprime a mio
parere nel modo più chiaro possibile questa tendenza a riconfigurare
i rapporti verticali tra industria e distribuzione alla ricerca di rapporti
in grado di migliorare l'efficienza tanto del produttore quanto del distributore.
Fonte: Pambianco, 1998
Per il primo, i vantaggi assicurati da questa forma distributiva
concernono in particolare la maggiore redditività delle attività
di marketing e di ricerca sul prodotto, la disponibilità di un
flusso di informazioni più rapido e completo, il più elevato
coordinamento che facilita la gestione di aree critiche quali la logistica
e le scorte.
Per il distributore, l'adesione alla formula del franchising si traduce
in un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti degli altri canali
commerciali in quanto assicura una fonte di differenziazione verso altri
modelli distributivi quali i punti vendita tradizionali e la grande distribuzione;
permette di godere del sostegno assicurato dall'attività promozionale
del produttore; consente di contenere i costi di gestione grazie alla
semplificazione gestionale garantita dal maggior coordinamento con la
casa madre.
|