CAPITOLO 4

LA DOMANDA

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4.1 LE NUOVE TENDENZE DEI CONSUMATORI

Negli ultimi anni uno sconvolgimento nell'atteggiamento del consumatore finale ha determinato nuove regole strategiche che gli imprenditori dell'abbigliamento dovranno seguire per raggiungere e conquistare il mercato. Le nuove tendenze possono essere identificare nella necessità di distinzione, a significare l'importanza oggi attribuita dal consumatore all'affermazione della propria personalità, non più attraverso degli "status simbol" (come negli anni '80), ma attraverso scelte di prodotto gestite in grande libertà e frutto della propria capacità di trasferire nell'abbigliamento le proprie motivazioni sociali e culturali.
I motivi che caratterizzano la domanda alla fine degli anni '90 sono in sostanza la personalizzazione dei consumi, il venir meno di veri e propri "trend" sostituiti piuttosto da tanti piccoli "micro-trend" e un forte eclettismo che può portare a delle scelte di consumo anche contraddittorie. Fattore strategico sempre più importante per il successo di un'impresa si rivela quindi la capacità di adattare con tempestività strutture produttive e variabili commerciali alle esigenze mutevoli della clientela attuale e potenziale, realizzando un approccio gestionale-organizzativo fondato sull'orientamento al mercato.
Se tradizionalmente la macchina del Sistema Moda era a "circuito chiuso", senza un reale rapporto con il mercato, oggi deve dedicare maggiore attenzione a recepire le informazioni dal mondo dei consumatori, dialogando con esso in maniera più consapevole di quanto non sia avvenuto nel passato.
Le nuove tendenze del consumo d'abbigliamento si possono riassumere in sei punti fondamentali:

  • maggiore autonomia dei consumatori rispetto alla pubblicità e ad altre forme di persuasione.
  • il capo d'abbigliamento come bene semi-durevole.
  • il capo come espressione della propria personalità.
  • l'ecologia anche nel vestire.
  • crescente importanza del rapporto qualità/prezzo.
  • guardaroba "polivalente" e resistente alle mode.

Oggi, la moda intesa come fenomeno che influenza gli acquisti delle masse, è sempre più destrutturata, priva di regole, fulminea nei cambiamenti e quindi sempre più imprevedibile. Ed i mass-media, che hanno la capacità di mostrare in tempo reale immagini delle nuove tendenze in tutto il mondo sollecitando l'istantaneo "desiderio d'acquisto" in milioni di consumatori, non fanno altro che accentuare maggiormente questo processo.
Il flusso della moda, oggi caratterizzato da pochi cicli sequenziali e scanditi temporalmente da "milestones" inviolabili (le date di presentazione delle due collezioni stagionali), deve avvicinarsi maggiormente alle esigenze vere dei consumatori, facendo propria una filosofia di "non-stop-creativity" caratterizzata dalla presenza di maggiori proposte mirate. La logica d'acquisto dei consumatori è notevolmente mutata. La tirannia dello stile, del "total look" imposta dalla scadenza delle collezioni stagionali si sta stemperando, lasciando il posto alla logica dell'occasione d'acquisto e, soprattutto, dell'occasione d'uso. L'occasione d'acquisto è legata a doppio filo con la logica del prezzo: la ricerca dell'affare o del saldo intelligente. Questo significa che, per proporre il giusto rapporto qualità-prezzo, sarà necessario concentrare le proposte, evitando inutili sprechi di energie "stilistiche" (si calcola che si perda, per selezioni successive, circa il 50% del lavoro stilistico), indirizzandosi verso mercati consolidati o nuovi in crescita, oppure ricercando nuove opportunità strategiche.
Se un tempo nella moda la parola chiave era "status symbol", l'oggetto attravero cui la gente tentava di qualificarsi, oggi il termine magico è "trend setter", ovvero il personaggio o il particolare evento nel quale la massa temporaneamente si identifica: è per questo che ogni azienda deve caratterizzare con esattezza e consapevolezza il suo prodotto.
Ciò che deve ispirare l'intera strategia di mercato e costituirne l'ossatura centrale, è riuscire a dare un profilo di personalità e di identità al proprio sistema di offerta, in modo tale da non risultare banalizzati e confusi con la molteplicità di concorrenti presenti sul mercato.
Concludendo, è essenziale ricordare come la differenziazione del sistema di prodotto e di offerta non si realizza più solamente attraverso il prezzo o la qualità: oggi ha assunto un'importanza fondamentale l'incidenza di fattori differenzianti contenuti nel prodotto come lo "styling", il "brand image", la novità in senso assoluto ottenuta con nuovi tessuti, nuovi colori, ecc.

4.2 LA DOMANDA INTERNA E LE ESPORTAZIONI

Il settore del tessile-abbigliamento sta attraversando, negli ultimi anni, una crisi dovuta principalmente alla crescente pressione competitiva dei concorrenti stranieri e alla stagnazione della domanda nel mercato interno.
Il fattore che favorisce maggiormente la penetrazione nel mercato italiano dei Paesi in via di sviluppo (principalmente sud-est asiatico, nord-africa, Turchia) è il maggior costo della manodopera. Questo lo si può notare soprattutto per i prodotti a basso contenuto moda (capi casual e spesso continuativi), dove diviene meno importante il "made in Italy".
Sul mercato interno, il mutato comportamento dei consumatori e la recessione degli anni '90 hanno causato una brusca diminuzione della domanda. Sintetizzando, sono tre i motivi che hanno causato la perdita di potenzialità del settore:
- la competizione dei concorrenti stranieri con un minore costo del lavoro. Per capire quanto questo aspetto sia importante, basti pensare che, per esempio nelle confezioni, l'incidenza media della manodopera sul valore aggiunto è di circa il 40 %;
- l'accresciuta importanza della distribuzione organizzata. Questa, a differenza della vendita al dettaglio, può acquistare prodotti direttamente all'estero o può produrli lei stessa direttamente (private label), a scapito delle aziende nazionali;
- l'alta frammentazione dei produttori. Si pensi che oltre la metà degli operatori ha un fatturato inferiore ai 500.000.000, con inevitabili limiti di risorse finanziarie e manageriali; si capisce quindi come non sia in grado di competere su scala internazionale con i concorrenti stranieri.

4.2.1 La domanda interna

Sul mercato interno permane una tendenza di basso profilo nei consumi di vestiario da parte dei compratori italiani che è certamente attribuibile in larga parte al mancato superamento di un clima di sfiducia che ancora pervade le aspettative di molte famiglie.
Queste negli ultimi anni hanno visto comprimere il loro reddito reale disponibile in maniera assai consistente (solo nel periodo 1992-1994 di circa sei punti percentuali); questa caduta ha deteminato:
- una inversione del trend dei consumi;
- una resistenza selettiva delle famiglie alla compressione dei consumi che ha portato da un lato a ridurre la propensione al risparmio per sostenere i consumi ritenuti indispensabili e, dall'altro, al sacrificio di alcune voci di spesa considerate rinviabili o meno necessarie, tra cui rientrano anche gli acquisti di vestiario.
Tale tendenza non sembra destinata a modificarsi nel breve periodo. L'attenzione alla dinamica inflattiva, al contenimento del disavanzo e al riassorbimento del deficit statale spingono in direzione del permanere di una politica, sia di spesa che tributaria, di orientamento restrittivo, con effetti contenitivi sul reddito delle famiglie italiane che non lasciano spazi a inversioni di tendenze nella dinamica dei consumi in generale, e tanto meno di quelli di vestiario.
Questo mutamento nel comportamento di acquisto non è però riconducibile solo a dinamiche di natura economica. L'esplodere della crisi economica ha cioè portato ad una formidabile accelerazione processi che erano già in atto, facendo loro assumere una consistenza ed una visibilità ben più nette.
Innanzitutto, la progressiva trasformazione dei modelli di acquisto prevalenti tra i consumatori, entro cui emergono:

  • una minore influenzabilità delle scelte di acquisto, che risultano così meno dipendenti da fattori quali il prestigio della griffe o il differenziale di spinta pubblicitaria;
  • una più marcata capacità di selezionare i prodotti secondo criteri personalizzati e di formulare in proprio stili di abbigliamento individuali;
  • una minor sensibilità alle tendenze moda stagionali;
  • una maggiore capacità di valutazione del prodotto da cui scaturisce anche la crescente attenzione al binomio qualità-prezzo;
  • nell'affermazione di comportamenti multiformi da parte dello stesso soggetto che può essere sia acqirente di capi di alta fascia presso negozi qualificati, sia, in un altro momento, cliente di punti-vendita specializzati in assortimenti di prezzo limitato.

4.2.2 Le esportazioni

La dinamica sostenuta delle esportazioni ha permesso prima di attutire la caduta produttiva e ha costituito poi il motore della ripresa avviatasi nel 1994.
La ripresa delle esportazioni si colloca tuttavia all'interno di un trend di lungo periodo segnato da una crescente erosione delle esportazioni italiane sul mercato mondiale, essenzialmente a favore di nuovi concorrenti a basso costo del lavoro. Ciò vale in particolare per i prodoti di vestiario (tabella 4.2.1 e 4.2.2), per i quali nel corso degli anni '80 si è assistito ad una esplosiva crescita del ruolo di paesi come la Cina, Hong Kong, Turchia, India, Taiwan, Tailandia; crescita che ha investito anche i tradizionali sbocchi delle esportazioni italiane, primo fra tutti il mercato UE.
Rispetto a questo quadro di fondo la ripresa delle esportazioni italiane intervenuta dal 1993 costituisce quindi una svolta significativa e ripropone con tutta evidenza il ruolo chiave che la manovra sul cambio ha avuto nel modificare il grado di competitività internazionale dei prodotti italiani.
Quanta parte di questa ritrovata forza competitiva sia destinata a consolidarsi in un vantaggio duraturo è tuttavia un tema che resta aperto e che va affrontato cercando di comprendere in quale misura le imprese si stiano attrezzando, anche sulla base del differenziale competitivo aggiunto offerto dalla svalutazione, per strutturare azioni in grado di affrontare con successo le trasformazioni che si sviluppano nel contesto competitivo internazionale.

Tab.4.2.1 Quote % dei principali Paesi esportatori sul commercio mondiale di prodotti tessili

Paese
1980
1993
 
Germania
Hong Kong
Italia
Corea
Cina
Taiwan
Giappone
USA
Francia
Regno Unito
Pakistan
India
11,4
0,0
7,6
4,0
4,6
3,2
9,3
6,8
6,2
5,7
1,6
2,1
10,3
9,7
8,7
7,8
7,5
7,1
5,8
5,2
4,7
3,5
3,0
2,5

Fonte: International Trade, GATT, 1994

Tab.4.2.2 Quote % dei principali Paesi esportatori sul commercio mondiale di prodotti di abbigliamento

Paese
1980
1993
 
Hong Kong
Cina
Italia
Germania
Corea
USA
Francia
Turchia
Tailandia
Taiwan
India

0,0
4,0
11,3
7,1
7,3
3,1
5,7
0,3
0,7
6,0
1,5
15,8
13,9
8,9
5,1
4,6
3,7
3,4
3,3
3,1
2,8
2,7

Fonte: International Trade, GATT, 1994

Tab.4.2.3 Distribuzione % delle esportazioni del tessile-abbigliamento italiane per Paese

Paese
Quote
 
Germania
Francia
USA
Giappone
Regno Unito
Spagna
Svizzera
Bel-Lux
Hong Kong
Austria
Paesi Bassi
Grecia
Portogallo
Corea
Tunisia
Svezia
Taiwan
Altri
Totale UE
Totale non UE
Totale mondo

24,2
12,2
6,9
6,2
6,0
4,3
3,8
3,4
3,1
2,8
2,7
2,1
2,1
1,6
1,0
0,9
0,9
14,9
58,2
41,8
100,0

Fonte: Federtessile, 1995

In particolare:

- la modificazione nell'importanza relativa delle diverse aree di mercato internazionale;
- la crescente dimensione globale dello scenario competitivo, specie alla luce del venire meno nei prossimi anni delle protezioni assicurate dall'AMF.

Sul primo punto si deve rilevare come la composizione per paese della destinazione delle esportazioni italiane evidenzia la crescente importanza di nuove aree di domanda che segnalano una dinamica nettamente superiore rispetto ai tradizionali mercati dei prodotti del tessile-abbigliamento italiani. Infatti la crescita delle vendite nei mercati europei è nettamente più contenuta rispetto ai flussi di export rivolti verso gli altri mercati; quelli che hanno registrato un aumento più consistente riguardo gli acquisti di prodotti "made in Italy" sono Corea (68 %), Giappone (43,6 %) e Hong Kong (38,8 %).
Riguardo il secondo punto, l'ultimo ciclo di negoziati GATT (l'Uruguay Round) ha stabilito la definitiva abrogazione dell'Accordo Multifibre (AMF) che regolava gli scambi commerciali tessili, abrogazione che sarà completata al termine di un periodo transitorio di dieci anni. Il venir meno di barriere protettive verso le esportazioni di prodotti a basso costo provenienti dai paesi emergenti comporta un appesentimento della pressione competitiva cui le imprese italiane non possono far fronte facendo leva su un sistema di produzione ancora quasi esclusivamente domestico. Sotto questo profilo il problema che si pone alle imprese italiane non è certamente quello di una locale rilocalizzazione della base produttiva, quanto piuttosto di necessità di dar corpo a strategie globali basate su una reale multilocalizzazione delle fonti di approvvigionamento (attraverso investimenti diretti o acquisti da fornitori internazionali) in ragione delle diverse combinazioni prodotto/mercato perseguite .


4.2.3 L'Accordo Multifibre e gli Accordi di Associazione

Da oltre trent'anni, il commercio internazionale del tessile-abbigliamento rappresenta un'eccezione al libero scambio; infatti, i primi accordi che regolamentano i flussi commerciali in questo settore li troviamo già nei primi anni '60.
Esiste una rilevante asimmetria nel trattamento dei traffici provenienti dai paesi in via di sviluppo (PVS) produttori a basso costo e quelli provenienti dai paesi industrializzati: i primi sono regolamentati da contingenti all'importazione negoziati bilateralmente nell'ambito dell'Accordo Multifibre (AMF), i secondi sono essenzialmente liberi o soggetti solamente a barriere tariffarie.
L'AMF, che è stato introdotto temporaneamente nel 1974 dal GATT (General Agreement on Traffic and Trade) per durare solo quattro anni, si è rinnovato di volta in volta fino al 31 dicembre 1994, divenendo sempre più restrittivo, sia per quanto riguarda i prodotti coperti, sia per quanto riguarda i paesi interessati.
Con l'ottavo ciclo di negoziazioni multilaterali del GATT (l'Uruguay Round), il commercio internazionale del tessile-abbigliamento è stato avviato faticosamente verso il libero scambio. L'Accordo è stato siglato il 15 aprile 1994 a Marrakech e prevede il graduale smantellamento dell'AMF e la completa liberalizzazione del settore per il 2005. Fino ad allora però il commercio tra paesi industrializzati e PVS continuerà ad essere "protetto".
Oltre all'AMF esistono altri tipi di accordi: l'Unione Europea (UE), che costituisce globalmente il principale mercato per i prodotti provenienti dai paesi dell'ex COMECON, ha recentemente intrapreso importanti passi per migliorare le proprie relazioni commerciali con la maggior parte di essi.
Sono stati stretti degli Accordi di Associazione (i cosiddetti "Accordi Europei") con Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria; l'Albania, le Repubbliche Baltiche, la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e la Slovenia sono invece legate all'UE da Accordi di Cooperazione Economica.
Gli Stati dell'Europa orientale quindi, discriminati precedentemente rispetto ai PVS da un atteggiamento più aggressivo, godono di maggiori concessioni rispetto ai paesi appartenenti al bacino mediterraneo, ai paesi sudamericani e a molti altri paesi industrializzati non appartenenti all'UE.
Tornando all'AMF, il suo obiettivo era quello di assicurare uno sviluppo equo ed ordinato del settore sia nei paesi importatori sia in quelli esportatori: questo attraverso una riduzione progressiva degli ostacoli e una graduale liberalizzazione degli scambi.
In realtà, questo accordo ha consentito ai paesi importatori di organizzare e spartire il mercato mondiale del tessile-abbigliamento o negoziando bilateralmente con i PVS esportatori, o imponendo loro contingenti alle importazioni in caso di "market disruption ".
L'AMF, comunque, con l'Uruguay Round, ha cessato di esistere. Al suo posto è stato concluso l'Accordo sul Tessile e Abbigliamento (ATA): esso prevede lo smantellamento in dieci anni delle restrizioni quantitative con un'ampia discrezione dei paesi importatori per la scelta delle categorie da liberalizzare. Queste, però, devono appartenere a tutti e quattro i gruppi in cui sono suddivisi i prodotti del settore oggetto d'indagine: nastri e filati, tessuti, prodotti tessili confezionati e prodotti dell'abbigliamento.
L'ATA, che sarà articolato in quattro fasi, prevede la progressiva soppressione dei prodotti tessili che possono essere contingentati (16%, 17%, 18%, 49%) e il graduale incremento dei contingenti rimasti (16%, 25%, 27%) .

Tab.4.2.4 Le controparti dell'UE nell'Accordo Multifibre

America latina
ASEAN
Paesi a commercio
di stato
Paesi dominanti dell'Estremo
oriente "Tigri asiatiche"
Subcontinente
indiano
PECO
Ex-URSS
Cina
Ex-Jugoslavia
               
Argentina
Brasile
Colombia
Guatemala
Haiti
Messico
Perù
Uruguay
Indonesia
Malesia
Filippine
Singapore
Tailandia
Bulgaria
Polonia
Romania
Ungheria
Rep.Ceca
Slovacchia
Bielorussia
Russia
Ucraina
Uzbekistan
Cina
Ex-Jugoslavia
Corea del sud
Hong Kong
Macao
Taiwan
Bangladesh
India
Pakistan
Sri-Lanka

Fonte: A.Brugnoli, L.Resmini (1997)

Per le aziende altovicentine, come del resto per tutte le aziende italiane, dopo l'Uruguay Round si profila un futuro incerto: molto probabilmente risulteranno sfavorite soprattutto le lavorazioni con alto contenuto di lavoro non specializzato (quindi più l'industria dell'abbigliamento che non quella tessile).

4.3 LA STAGIONALITA' ED IL CONTENUTO MODA

Le caratteristiche di un capo d'abbigliamento sono principalmente tre:

- la stagionalità del capo. Per stagionalità si intende la durata della vita del prodotto nel negozio (shelf life), prima che diventi praticamente invendibile a prezzo pieno. Generalmente i fattori che guidano la stagionalità sono due:

  1. ci sono capi che possono appartenere solo ad una stagione
    meteorologica. Per esempio risulta impossibile vendere capi invernali rimasti sugli scaffali in estate ad un prezzo pieno;
  2. il contenuto moda del prodotto. I capi di moda o "fashion" rimarranno invenduti se, anche nella stagione meteorologica giusta, muteranno improvvisamente i gusti del consumatore finale;

- la durata della vita di un capo dopo la vendita. Si parla ovviamente dei prodotti fashion ed indica il periodo dopo l'acquisto in cui il capo si può definire conforme alle ultime tendenze di moda;

- la presenza nel prodotto di elementi intangibili. Si stima che al giorno d'oggi la moda è composta per metà da prodotto e per metà da "fumo": però è proprio questo che fa guadagnare al capo quel quid capace di imporlo sul mercato.

Riassumendo, più un capo d'abbigliamento ha un forte contenuto moda incorporato, più accentuato sarà il fenomeno della stagionalità (shelf life).
La differenza tra i capi moda e i continuativi è essenzialmente questa: i primi hanno un potenziale di vendita maggiore, ma questa sarà più concentrata nel tempo.
I produttori di capi con contenuto moda devono essere più celeri e attenti alle variazioni delle tendenze di mercato rispetto a quelli che producono capi continuativi; bisogna però ricordare come in genere la maggior parte delle aziende di confezioni assicurino entrambe le tipologie di prodotto ai negozi.

Adattato da: Hunter (1990) su ricerche della KSA


Tutto questo vale, ovviamente, non solo per l'abbigliamento ma anche per il settore tessile che fornisce al primo il prodotto da confezionare.

Adattato da U.S. Department of Commerce


4.4 LA DISTRIBUZIONE NELL'ABBIGLIAMENTO

Tradizionalmente vengono distinte tre tipologie di distribuzione:

- i negozi tradizionali indipendenti o il dettaglio: questi vendono prodotti di più marchi o griffe, mantenendo comunque una gamma generalmente caratterizzata da un determinato stile (abbigliamento sportivo, casual, alta moda, ecc). I dettaglianti in genere acquistano parte del campionario dagli agenti delle varie case e spesso devono sottostare a precise norme di rispetto delle politiche di marketing e di prezzo imposte dal marchio o dalla griffe;

- distribuzione organizzata monomarca: è, per la maggior parte dei casi, costituita da catene di negozi in franchising; ad essi si aggiungono tutte le forme di succursali (Stores, Corner, Empori, ecc.) delle varie aziende, che possono essere sia indipendenti sia controllate direttamente dalla casa madre;

- distribuzione organizzata plurimarca: è, generalmente, costituita dalle catene di super/ipermercati, centri commerciali e grandi magazzini che espongono al loro interno diverse marche. Grazie alle dimensioni della grande distribuzione e dei volumi di vendita che garantisce, l'agente si occuperà solo della gestione degli ordini, mentre saranno il distributore e il produttore che gestiranno direttamente la contrattazione sui volumi e sui prezzi;

- la vendita per corrispondenza (V.P.C.) e la distribuzione ambulante: tramite questa forma di distribuzione vengono venduti prodotti con basso valore unitario e con basso servizio al cliente (per esempio la qualità dei tessuti non riveste un ruolo importante nelle decisioni d'acquisto, la scelta delle taglie è standard (M, L, XL), ecc.).

L'importanza delle varie forme distributive presenti nei principali Paesi di sbocco per i prodotti made in Italy è assai diversa rispetto a quella italiana (tab.4.4.1). In effetti, il nostro è l'unico Stato in cui dominano ancora i negozi tradizionali. Questo comporta:

- l'impossibilità di presentare ai distributori di piccola dimensione tutta la gamma dei prodotti che, in ogni caso, non sarebbe accessibile data la loro limitata disponibilità finanziaria;

- a causa di ordini troppo frammentati e diluiti temporalmente, una notevole complessità di programmazione/pianificazione della produzione e una certa difficoltà nel fare previsioni di vendita affidabili su singoli articoli;

- una sostanziale dipendenza del piccolo distributore dal produttore che, sovente nelle proprie azioni di marketing, preferisce raggiungere direttamente il consumatore attraverso campagne pubblicitarie (strategia di direct marketing e di corporate image);

- una crescente penetrazione della concorrenza soprattutto esterna, specializzata nella produzione di pochi particolari prodotti d'abbigliamento.

Un esempio di quanto appena detto lo possiamo ricavare confrontando il marchio Marzotto con il suo marchio controllato Hugo Boss. Marzotto, nonostante abbia come marchio un giro d'affari paragonabile a quello della Hugo Boss, possiede in Italia un numero di clienti 10 volte superiore al numero di clienti della sua controllata in Germania.

Tab.4.4.1 Distribuzione di abbigliamento e maglieria nel 1993

Forme distributive Italia Francia Germania Giappone Stati Uniti
           
Dettaglio
Distribuzione org. monomarca
Distribuzione org. plurimarca
Vendita per corrispondenza
Altro
70%
16%
13%
1%
0%
36%
21%
30%
13%
0%
39%
32%
15%
14%
0%
35%
24%
34%
nd
7%
15%
22%
49%
5%
9%

Elaborato da: Moda Industria, 1995


Nonostante ciò, la tendenza alla quale è soggetta la distribuzione di abbigliamento e maglieria italiana, equiparandosi così a quella americana, giapponese e dell'Unione Europea è, a grandi linee, la seguente:
- il dettaglio tradizionale indipendente sembra destinato a perdere quote di mercato e, lentamente ma inesorabilmente, a scomparire (nel 1988 il 79 % dei punti di distribuzione erano al dettaglio, nel 1993 sono divenuti il 70 %);
- la distribuzione organizzata monomarca è senza dubbio la forma più dinamica con netti incrementi dal 1988 (11 %) al 1993 (16 %);
- la distribuzione organizzata plurimarca e le vendite per corrispondenza sembrano non avere incrementi così significativi (aumento dal 10 % al 14 %).

Le aziende altovicentine di abbigliamento, come del resto un po' tutte le imprese italiane del settore, a causa della sempre maggiore forza contrattuale del distributore, sono costrette a fornire ai clienti, se vogliono rimanere competitive e non perdere rilevanti quote di mercato, un pacchetto più completo di servizi in termini di:
- flessibilità ed elasticità ai mutamenti della domanda;
- maggiore puntualità delle consegne;
- riassortimento rapido degli scaffali;
- generale riduzione dei tempi di attraversamento e di consegna.

Con il minore frazionamento dei punti vendita, il flusso informativo diviene finalmente bidirezionale: il produttore cioè, grazie ad una collaborazione più stretta con gli stadi più a valle della filiera, è in grado di raccogliere maggiori informazioni sulle ultime tendenze di mercato. Questo è reso possibile dall'utilizzo in maniera massiccia di tecniche informatiche quali il bar-code o il point-of-sale, che riescono a registrare per prime le variazioni del gusto del pubblico.

4.4.1 I negozi in franchising

La diffusione di catene di franchising esprime a mio parere nel modo più chiaro possibile questa tendenza a riconfigurare i rapporti verticali tra industria e distribuzione alla ricerca di rapporti in grado di migliorare l'efficienza tanto del produttore quanto del distributore.

Fonte: Pambianco, 1998

Per il primo, i vantaggi assicurati da questa forma distributiva concernono in particolare la maggiore redditività delle attività di marketing e di ricerca sul prodotto, la disponibilità di un flusso di informazioni più rapido e completo, il più elevato coordinamento che facilita la gestione di aree critiche quali la logistica e le scorte.
Per il distributore, l'adesione alla formula del franchising si traduce in un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti degli altri canali commerciali in quanto assicura una fonte di differenziazione verso altri modelli distributivi quali i punti vendita tradizionali e la grande distribuzione; permette di godere del sostegno assicurato dall'attività promozionale del produttore; consente di contenere i costi di gestione grazie alla semplificazione gestionale garantita dal maggior coordinamento con la casa madre.